Bon-a-tirer est une revue littéraire diffusant en ligne, en version intégrale des textes courts originaux et inédits commandés spécialement pour le Web à des écrivains actuels principalement de langue française.







Lisez, en français, L'assassin de Melassa & Mantello

 
L'ASSASSINO DI MELASSA & MANTELLO

Ricordo bene come e perché il signor Capussotti arrivò da noi, ricordo benissimo, ci arrivò da solo, tutto elegantino come sempre, acchittato in un suo abito grigio chiaro con una camicia bianca ed una cravatta di seta azzurra; entrando con la sua cartella di cartone sotto braccio, bello e impettito disse pressapoco così:
   Sono Renato, Renato Capussotti, maestro sarto, sono venuto qui perché mi hanno detto di venire per consultarmi con voi, perché non son stato bene, non tanto bene, insomma così, disturbi di carattere,… sono un po' bizzoso, un po'così, alterabile facilmente, ma sono una persona seria, serissima e lavoro molto nel campo dello stile, creazioni d'arte, sono uno stilista, come si dice oggi.
    Tutto questo lo disse a valanga con la sua vocetta, diciamo così da checca, con un certo risolino freddo, come la sua faccetta affilata, i dentini bianchi e sottili, i suoi occhi azzurri bellissimi lucenti come la cravatta. Un uomo di circa sessantacinque anni, malato, forse paranoico; dava fastidio ai vicini, urlava per il minimo rumore, imperversava per le scale del condominio, metteva 'Le nozze di Figaro' ad altissimo volume la notte, per fare ripicca ai limitrofi. Era sostanzialmente un rompicoglioni, innocuo fino a quando arrivò la polizia chiamata dal dirimpettaio, ed allora abbrancò un agente per il collo e lo prese a calci negli stinchi ferocemente con le sue scarpe appuntite. Da lì a un repartino, poi casa, repartino casa, psichiatri cure, Haldol, gocce di Entumin per dormire: sentiva pure delle voci.
    Poi si calmò per un bel pezzo, venne da noi volontariamente e fu straordinario.
    Anzi, fu l'anima del nostro Centro diurno. Qui dentro, al centro di via Ormea, come tutti sanno, stiamo in pochi: io, Cesare Semprini detto Rino, poi Gaetano, e siamo infermieri dell'ASL, poi ci sono la psichiatra, dott.ssa Livia Gaudio, poi gli educatori Ettore, Armida e Susanna, poi pazienti, gente che va e viene e tra questi Renato fu una bella scoperta per noi abituati ai soliti poveracci, perché era ed è una persona speciale. Tanto per cominciare pulito, netto, distinto, con un linguaggio fine elegante, a volte non lo capisci nemmeno, tira fuori delle frasi latine, caccia dalla borsa di cuoio la Divina Commedia e si mette a leggere a declamare e bisogna sentirlo, non fosse per la voce piuttosto chioccia, sarebbe un grande attore.
    E' un gran rompiballe, che quando comincia non la finisce più, ma all'inizio era uno spasso, con tutto quel mescolare affari e storielle della sua vita e quel tale là e quel sarto ed ho fatto il vestito per Pavarotti e per Alberto Sordi e sono amico di Alida Valli, non parliamo Fellini che quando veniva a Torino, correva da me, ed io ho servito conti e marchesi e l'aristocrazia che c'era quand'ero giovane, ma sono giovane ancora ed ho la mia clientela, sì ce l'ho! Lo abbiamo ascoltato per giorni, cercando di assecondarlo, poi ha cominciato a scalciare, voleva fare e strafare tutto eccitato, voleva creare lì, al Centro; prese a disegnare, a riempire fogli di schizzi magnifici, voleva trasformare il Centro Psichiatrico in un Centro Stile : Perché nooo, perché nooo, prese a inveire.
    La Gaudio ha cominciato ha prescrivergli delle iniezioni, ed io e Gaetano dovevamo tenerlo fermo purtroppo, perché sto cristo aveva una paura matta degli aghi; alla sera se ne tornava a casa con il suo tram oppure l'accompagnava Susanna, che abitava dalle sue parti.
    Puntualissimo al mattino arrivava, ogni volta con un idea e un abito diversi; questi poi erano colorati, niente di strano, ma molto colore, calzoni stretti chiari, camicie hawaiane abbondanti per l'estate per non parlare poi dei camicioni "creativi" per lavorare, amplissimi con applicazioni della bocca rossa dei Rolling Stones sul sedere: un po' provocatorio, ma va bene lo stesso.
    Comunque Susanna, che è una brava bimba esile ma fortissima di carattere, riusciva a controllarlo, anzi Renato subiva l'ascendente della Susi, perché questa è molto colta e lo spiazzava a volte con citazioni che lo imbarazzavano, con robe di storia e personaggi e così via. Renato allora stava buono e solo a lei dava retta. Susanna lo indusse a partecipare alla compilazione del giornalino dei centri e Renato ci si ficcò dentro con gran lena, si mise a disegnare l'impaginazione, a far illustrazioni e soprattutto a inventare le pagine della moda. Era tutto un casino forsennato in quei tempi del giornalino, si finiva che per star dietro alle mille fantasticherie del Capussotti e si perdeva il filo dell'attenzione agli altri poveracci utenti, assistiti; infatti, Giardino che era sempre oscuro nell'angolo si incazzava e si metteva a gridare, Amalia si ingrugniva e piangeva, lasciamo perdere Gino che mandava affanculo Renato insultandolo perché ricchione, non vi dico Renato allora…
    Per di più della sua omosex non si capiva niente, a volte parlava di grandi suoi amori, donne, donne bellissime misteriose, alte elegantissime, femmine da Hollywood, poi taceva e si amareggiava e diceva di non essere stato capito. Era innocuo sessualmente, faceva dei complimenti alle donne, alle educatrici, ma con discrezione e ironia, non mai fece avances a uomini, forse era incasinato col sesso, forse impotente, inefficiente, che ne so, forse non gli tirava proprio in nessun senso.
    In una parola, Renato aveva animato parecchio il centro, anzi con i suoi fogli giganti di disegni a volte stimolava l'inventiva di qualche altro paziente, il mio collega Gaetano poi gli insegnò ad pasticciare con dei programmi grafici e non vi dico, dopo tre mesi Renato era capace di disegnare con Paint Shop Pro; per essere un uomo di sessantacinque anni era sveglissimo, una velocità d'imparare favolosa ed una voglia di fare pazzesca, straordinaria. Certo che rompeva spesso, se si andava nel campo moda puro, allora ti tirava fuori i torti subiti e quelli che l'avevano licenziato e quelli che non l'avevano capito, e i mezzani i ruffiani i bastardi e a volte si finiva con un'iniezione perché dava di fuori. Poi, non parliamo se citava Capucci, allora si inebriava, ahh, sì, si innalzava e parlava dei suoi nodi degli abiti da sera dei colori degli sfarzi dell'alta moda a livello di grande opera d'arte, allora lasciava il tavolo da lavoro, i suoi fogli e si librava in una danza per lo stanzone del Centro, svolazzava, ti pareva di vederlo con code di raso, groppi di cretonne, strascichi di voile e di chifonne: una farfalla. Però dopo si accasciava su di una sedia e piangeva, si deprimeva, sto povero cristo, mi faceva una gran pena, diceva:
   Ho fallito, lo so… non sono riuscito a star dietro al Maestro, ho lavorato per lui, maaa… ho un brutto carattere e lui era un santo… un mago, vero artista, haute couture, haute couture… ahhhh, Capucci ,Capucciiii.
    Se fosse stato davvero collaboratore di Capucci o sarto per dive o per Pavarotti o Fellini, se fosse stato davvero a Los Angeles o a Hollywood, io non me ne sono mai curato: io ho una esperienza di quindici anni da infermiere e vi assicuro che se porgessi ancora orecchio ai discorsi dei pazienti, ora avrei la testa piena di idee stralunate, d'immaginazioni folli, visto che ho già avuto almeno trenta 'clienti' che hanno parlato con gli extraterrestri.
    Fatto sta ed è che comunque, Renato Capussotti era un bel protagonista, io ho un sacco di disegni suoi in una cartella, che mi ha regalato, non vi dico i colori e le stranezze dei suoi abiti, ma son belli, eccessivi, immettibili forse, ma non so, visto quello che si vede alle sfilate dalla televisione. E questo fatto di Capucci e della televisione portò Capussotti Renato ad un momento cruciale della sua, diciamo così, malattia o paranoia; infatti lui a casa non voleva avere televisione, lui sentiva la radio la sera, musica classica, prosa o affari suoi su Radio tre, siccome noi invece al centro abbiamo una tele e qualche volta l'accendiamo, il Renato cominciò a pasticciare col telecomando per cercare roba di moda, e di sfilate ne trovò fin che voleva. Non glie l'avessimo mai consentito, a Renato, di vedere le sfilate: allora si infiammava, si alzava, piantava un casino della madonna, e porco qui porco di là, bastardi fetenti assassini luridi ignoranti incapaci incompetenti trucidi immorali venduti, ne diceva di tutti i colori.
    Se vedeva Ferré o Valentino ancora andava bene, Ungaro anche, ma se poi si passava oltre a, non so più i nomi, era terribile, in particolar modo se si vedevano sfilare modelli di Melassa & Mantello. Allora ero un strazio, una sequela di ingiurie che non vi dico, quei fetenti froci maiali culattoni venduti e quella maledetta sozza puttana americana che li finanzia. Si spegneva la tele per forza, con gran proteste degli altri pazienti e una rissa da calmare, Renato da contenere, da sedare. Si finì di tenere sotto controllo il televisore e di distrarre Renato quando si vedevano servizi sulla moda; avevamo toccato il suo punto debole, cioè l'avversione per due stilisti, forse gay, che avevano successo.
    Come disse la Gaudio, forse in loro si rispecchiava, e la sua repressa omosessualità e il suo insuccesso professionale si manifestavano in forma palese ed aggressiva quando si trovava di fronte a quei boss della moda. Questi Melassa & Mantello non è che fossero simpatici nemmeno a me, però io me ne fotto di queste cose e lascio perdere, è un mondo troppo lontano dal mio orizzonte. Si da il caso però che Renato proprio non si calmava e tutti i motivi trovava ogni giorno per infilare una tiritera di insulti contro i due stilisti; sarà stato anche il caldo che in quei giorni cominciava a salire, ed il caldo, si sa, da in testa a tutti, ma Renato l'aveva presa proprio brutta, in una parola pareva aggravarsi.
    Una mattina è arrivato pallido come un morto, camicia bianca abito e cravatta neri come andasse ad un funerale, aria spiritata e voce profetica: Stanotte ho visto Capucci, l'ho visto, il mio maestro me l'ha detto, l'ha sentenziato, mi è apparso come da un trono foderato in raso di colori iridescenti, bello bellissimo, fulgente d'arte e di lampi, e mi ha detto: Renato spetta a te, ora, tu sai che costoro sono i violatori del nostro mondo, la sodomia e la nequizia, gli affossatori del mondo dell'Arte… spetta a te ora fare giustizia? e poi è scomparso in un coro angelico delicato e fastoso ad un tempo, meraviglie, Rino, ho capito la mia missione, mi è chiara come non mai, ora, Rino!
    Gaetano, Susanna ed io ci siamo guardati ed abbiamo pensato insieme: Qui butta male! ? perché quando uno di questi cristi comincia ad assumere questi toni e oltre alle voci, vede pure i morti va male per lui e anche per noi perché le fatiche aumentano e le speranze diminuiscono. Insomma da quel giorno pian piano Renato cominciò a farsi più fosco, taciturno o improvvisamente aggressivo: noi eravamo tristi perché quest'uomo ci piaceva e ci creava pene, gli somministravamo allora qualcosa in più di tranquillante ma Renato si faceva ancor più pallido, mangiava pochissimo, disegnava soltanto cose cupe, vecchie carrozze ornate di galloni neri, cimiterini con croci svettanti.
    Portava ogni giorno quel suo abito nero ed affermava contegnoso: Sono in periodo di lutto… la moda lo stile sono in lutto, l'Arte è in gramaglie per la presenza di loschi figuri che affermano indegnamente di praticarLa? e scuoteva la testa con gesti significativi ? E' necessaria una purificazione… il mio mondo è troppo, ora, corrotto, è ora che un uomo faccia il suo dovere e decontamini l'ambiente… non so se mi spiego… ehehehhhh!
    Tutto questo suo atteggiamento quasi da fanatico profeta mi fece sospettare qualcosa di pericoloso, se non tragico per lui; purtroppo avevo visto negli anni alcune persone prese da queste smanie ossessive di persecuzione finire male; stavo di più con lui, lo facevo svariare, lo portavo fuori a vedere una mostra, lo portammo al cinema, per distrarlo, ma nelle uscite settimanali a cui partecipava tendeva ad appartarsi ed a scrivere su di un quadernino. Qualche volta, a tratti, diventava più di buon umore ma, dopo aver accennato ad un sorriso, subito incipigliato proclamava: quando si ha una missione da compiere, non è bene distrarsi, perdersi in quisquiglie. Una volta, forse perché ero già incazzato per conto mio, per affari di casa, a momenti gli do un cazzotto in testa, perché con sta storia di Melassa & Mantello mi stava rompendo in un modo pazzesco.
    Da quel momento lui mi guardava ghignando, e mormorava: Anche tu ehhh, Rino… bel voltafaccia… sei anche tu della cricca…?
   Che è che non è, mi dico, questo ne combina una delle sue, ne son sicuro. Infatti sparì nel mese di settembre, agli inizi, questo cristo, se ne andò, non venne più al centro ed io e Susanna, dopo aver telefonato andammo a casa sua a cercarlo, manco c'era, non c'era lui né portiera né qualche vicino che sapesse qualcosa, figurarsi i maledetti dirimpettai. Aspettammo qualche giorno, telefonammo ad ospedali, sporgemmo una denuncia e ci occupammo d'altri.
    Poi arrivò la telefonata, la voce di Renato Capussotti, alle ore 10,30 del mattino di giovedì 13 settembre 2001, al nostro Centro; una voce disfatta, tristissima con tono lento strascicato diceva: Rino, Rino… non so se puoi capire… ma stavo per farla grossa… Rino… c'è anche Susanna? Non so… scusami… forse lei può capire meglio di te… sai la sensibilità femminile… Ma dove cazzo sei, Renato ? dicevo io ? dove sei sparito!? Vengo a prenderti subito, noi siamo qua per te, ho il pulmino, sei a casa? Renato diceva:
   Nooo… Semprini..non sono a casa… passami Susanna. Susanna c'era e ascoltò una dichiarazione di sofferenza enorme, ma anche di lucidità singolare, la storia di un Renato a Milano, perso, pentito per un'azione disperata che voleva compiere; era senza soldi e non voleva rivolgersi ad un ospedale, alla polizia perché avrebbe dovuto spiegare cose vergognose. Susanna gli urlò : Renato stai lì alla stazione centrale, in sala d'aspetto, vengo io a prenderti ti porto qui subito subito, sono lì tra due ore !
    Susanna mi prese per un braccio e mi trascinò fin sulla porta della Gaudio: Adesso vado a prenderlo, quel disgraziato, se vuoi venire a ripescarlo, vieni anche tu, io non sono dipendente della ASL, sono un'educatrice, dipendo dalla Cooperativa, posso andarmene per qualche ora, prima parlo alla Gaudio e poi vado con la mia macchina!
    Entrammo sconvolti dalla Gaudio, questa stralunava a sentirci parlare insieme, obiettò e protestò alla nostra partenza, tirò pure una cartella a terra, poi, scuotendo la testa e bofonchiando, mi firmò un permessino. Non prendemmo il pulmino dell'ASL, ma la vecchia Peugeot di Susanna, che non era una meraviglia di auto, ma andava, filava.
    Erano giornate di lutto quelle, di miseria, di mia disperazione interiore sul genere umano, avevano soltanto da quarantotto ore colpito le Twin Towers ed il Pentagono, immagini di morte tragica affliggevano gli occhi, la mente a tutti; i pazienti si erano depressi, solo Gino si salvava, pareva addirittura fiero, immaginando una vendetta degli alieni, che ne so, dei suoi amici venusiani, suoi confidenti: in Piazza Carducci gli avevano rivelato che gli uomini avevano commesso un peccato enorme di superbia, specialmente gli americani e per ciò erano puniti: miseria umana, vedi un po', anche questa.
    Dio, che disperazione! Io fumavo con il finestrino aperto e tacevo, Susanna guidava a strattoni, nervosa e taceva, poi in corso Vercelli ad un semaforo, si voltò verso di me e disse, impassibile: Renato ha visto sua madre in una chiesa a Milano… e sua madre è morta da trent'anni, anche lui ha visto il disastro, Rino… per telefono quasi piangeva, pare che questo, il fatto di New York l'abbia salvato dal commettere una enorme sciocchezza, Rino… cosa voleva fare… ammazzarsi ? E perché a Milano?
    Boh? Io non avevo nemmeno voglia di pensare, eppure mi scervellavo, non avrei neppure voluto ricordare Renato Capussotti, avrei persino voluto cancellare il mio lavoro, eppure pensavo, rimuginavo, elucubravo, la mia testa girava come una spoletta. Mi domandavo perché mi affezionavo a certi pazienti che mi procuravano tanti casini: la risposta era nella domanda, perché sono fatto così, io mi affeziono e non ho fatto l'infermiere e tanti corsi specialistici tanto per trovare un lavoro, l'ho fatto perché sono matto anch'io, solo un po' meno di Renato. Renato Capussotti, il quale era sulla porta di una sala d'aspetto alla stazione centrale, nerovestito impalato senza la cravatta e con la barba lunga, emaciato, con la sua bella borsa lungo il fianco e la sua cartella azzurra, quella degli schizzi, stretta al petto dal braccio sinistro.
    Non ci venne incontro, era fisso come di marmo e piangeva, Susanna gli si buttò addosso e lo strinse come un bambino e Renato un bimbo sembrava, piccolino, con quegli occhi azzurri da cui colavano e colavano gocce rivoli. Renato chiuse gli occhi sulla spalla di Susanna e sospirò: Mi vergogno tanto…
    Io dopo averlo preso a mia volta quasi in braccio gli feci: Dai Renato, sei il solito coglione… guarda che non è successo niente. Cercai di buttarla sul ridere, così per l'imbarazzo, roba che fanno i maschi si sa, anche gli infermieri.
    Stretto tra noi che ci avviavamo al posteggio dell'auto Renato si era fatto ancor più piccolo e ci sorrideva mestamente, nel sole settembrino e nella puzza milanese, prima di entrare in macchina mi sussurrò quasi all'orecchio: Son contento Rino che ci sei tu, credo che tu abbia capito tante cose…
    Io mi ficcai dietro e lo mettemmo davanti, si sa che io non guido tanto volentieri:
    Sono contento, che siete qui con me… ? prese a dire Renato, sempre stringendosi al cuore la sua cartellina ? mi vergogno tanto di aver disturbato tutti, ma mi vergognavo anche a telefonare… ho visto la mamma… mia madre… in una chiesa… qui a Milano, l'altro ieri… era meravigliosa e splendente in un abito di bellezza che non oso descrivere, vi dico soltanto : luce… luce…
    Renato Capussotti lentamente prese a raccontare da Viale Certosa e smise forse a Chivasso, fu un racconto tutto interrotto da lacrime, a volte singhiozzi.
    Ci fece tutto un giro di parole, sulla mamma che gli era apparsa nella chiesa, sembra di San Marco, lei gli avrebbe fatto capire il suo errore e quanto male ancora poteva fare con gesti sconsiderati ed assurdi; però prima di venire al gesto assurdo e sconsiderato, ci descrisse un pezzo di Milano, i giri per il quadrilatero della moda, ci riparlò di Capucci e poi, soprattutto, della terrificante caduta delle due torri che lui aveva visto su di un televisore di un bar di Via della Spiga .
    Aggiunse Renato: E' stato proprio quello, il vedere quel mare di odio svilupparsi nelle fiamme e nelle esplosioni che mi ha fatto rinvenire, che mi ha svegliato, mi ha scosso dal mio torpore, dalle nebbie venefiche che mi avevano imbrogliato il ragionamento ed il sentimento e mi ha fatto dire… Perché ancora morti… perché… c'è già tanto dolore qui in questo mondo… la gente che si butta giù dalle finestre del centesimo piano… Susanna… Rino… Non ne ho potuto più, ho cominciato a star male ed è stata la mia salvezza, sul marciapiede davanti al bar ho preso a tossire ed a vomitare, mi son vergognato tanto ma mia madre era presente, sì, lei dal cielo mi ha assistito.
    E tutto un giro di parole belle e forbite, ma intanto non veniva al dunque, finché io gli chiesi direttamente, di nuovo, percheccazzo fosse scappato a Milano. E il povero Capussotti, ritornò sulle sue vergogne e che io e Susanna eravamo troppo buoni e lui indegno della nostra assistenza, con la poca voce che gli era rimasta urlò: Io un potenziale assassino, un omicida…io così mi sono ridotto…!
    Così si era ridotto, a straccio, parole sue, insomma era partito per Milano il mattino dell'undici settembre scorso per andare ad ammazzare Melassa & Mantello; proprio Melassa & Mantello, i 'diavoli della moda'. Questo meschinetto aveva organizzato tutto, era partito per Milano con una pistola in tasca, una vecchia Beretta di un suo parente morto in guerra, con piantine itinerari orari, indirizzi dei due stilisti per andarli ad aspettare all'uscita del loro atelier e stenderli tutti e due: vedi un po' com'è fatta la mente umana.
    Renato si era informato per via telefonica che ad una certa ora dell'undici settembre i due famigerati dovevano essere presenti nel loro boutique di Via della Spiga, forse il più bello dei loro negozi, ma come tentò di spiegarci, pur essendo deciso a spararli per bene, si era portato dietro la cartella dei suoi ultimi disegni ed un curriculum, non si sa mai, diceva Renato: voleva ammazzarli ed insieme fargli vedere i suoi modelli, boh?! 'Contraddictio in terminis', come disse Susanna. E poi e poi e poi cammina sul marciapiede nervosamente, Melassa & Mantello non arrivano, alle undici e trenta, Renato frigge e aspetta, mangia un panino in un costosissimo bar, beve un aperitivo, sta là con l'occhio sempre aguzzato a guardare quelle vetrine, quell'entrata, poi chiudono il negozio quasi all'una, i due non sono arrivati, anche poco puntuali, anzi traditori, dunque. Renato si fa un giro con cartella borsa e la testa nel sacco.
   Fa un giro lunghissimo a piedi, Piazza Duomo, San Lorenzo, Sant'Eustorgio, Castello Sforzesco, gira come un pazzo, si stanca, suda cresce la rabbia e si snerva; alle quindici e trenta è di nuovo in Via della Spiga, distrutto e tesissimo, devono riaprire il negozio, Renato ha una sete terribile, non ne può più, ritorna al bar, c'è la televisione accesa, Renato vede il primo aereo che si caccia nella pancia della prima torre, Renato urla e comincia a vergognarsi del suo urlo, ma tanti stanno alzando i toni, il barista ha gli occhi arrossati e porta altissimo il volume del televisore, sembra un film nessuno quasi ci crede, uno dice è un trucco per lanciare un film, tipo quella roba là di Orson Welles con i marziani. Trucco non era, e Renato comincia a sentire vergogna anche per aver progettato un assassinio, Renato si siede ad un tavolino, Renato piange, un uomo gli mette una mano sulla spalla e gli chiede se ha dei parenti a New York. Renato vorrebbe sprofondare nel profondo dell'inferno e dice: Siamo tutti assassini !
   L'uomo gli toglie la mano dalla spalla.
   Renato uscì dal bar e continuò a piangere e a trascinarsi per le vie di Milano, tutto gli girava intorno come una favola astrusa, le voci anche dai balconi, cellulari che squillavano di più per strada, Renato avrebbe voluto davvero morire per non dover udire, sentire nel profondo dei suoi visceri la tragedia presente, un'altra testimonianza dell'umana malvagità. Scoppiava Renato, gli fosse scoppiato il cuore, diceva, ma niente andava, andava; andò fin di fronte la chiesa di San Marco, una chiesa vecchia, entrò come per un comando dall'alto o ipnotico; si accasciò su di una panca ed in capo gli giravano le parole: aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza, non si deve fare Renato, il perdono Renato… e Renato ed alzò gli occhi verso un altare a destra e vide, al posto della statua della madonna, sua madre che gli sussurrava quelle parole. Sua madre circondata da un aura luminosa, sua madre morta nel 1973, che gli diceva dolcissima: Renato, non piangere più e perdona, il mondo è già tanto preso dal dolore, è necessaria compassione, misericordia pietà per i miseri che soffrono, Renato, perdona… Renato… perdona, abbi fede…io ti assisto, Renato… vai a casa…
    Renato rimase nella chiesa di San Marco, in colloquio interiore con sua madre, fino a quando la chiusero; uscito prese ancora a girare senza una direzione precisa, le ore gli passavano trafitte da contrastanti sentimenti di vergogna e pentimento, sdegno e tristezza. Non riuscì a prendere una decisione precisa, gli cascò la notte addosso mentre da un bar all'altro si trasportava per udire nuove notizie sui disastri americani.
    Non ritornò a Torino, si trovò nei pressi della Darsena a mezzanotte: là in quelle acque nere buttò la pistola, e si pagò una stanza in un albergotto là nei pressi. La notte non gli portò riposo, camminò più che altro avanti e indietro, dormì verso il mattino. Poi dovette lasciare la camera perché i soldi non c'erano più, il giorno dodici settembre fu ancora più da incubo, perché tra lo stress, dolore, vergogna si accorse di non avere nemmeno abbastanza denaro per il treno di Torino.
    Per farla breve quel giorno lo passò quasi tutto nel Duomo di Milano a parlare con sé stesso ed ad invocare perdono per la sua persona e per l'umanità tutta, invocò e pregò Dio la Madonna i santi tutti, specialmente San Carlo Borromeo, perché milanese; ci disse che pregò in particolar modo per i defunti nell'immane tragedia americana, ma anche per la conversione di Melassa & Mantello e di Madonna Ciccone e per noi due anche, Susanna e Rino, che tanto l'avevamo aiutato in brutti momenti. Quel cristo non mangiò e bevve quasi, se ne stette tutto il giorno 12 ad odorare incenso in Duomo, poi chiuso quello, se ne andò alla stazione dove gli riuscì di dormicchiare una qualche ora in sala d'aspetto.
    Poi siamo arrivati noi.
    Ora voglio dire, son passati dei mesi e Renato non lo vedo spessissimo, perché il signor Renato Capussotti ora di nuovo lavora in una sartoria, oddio, non certo importante, anzi, ma con una modestia tutta nuova accetta sto lavoro per quadrare il bilancio; insomma, non è che sia proprio veramente guarito, infatti tutti i giorni va nella chiesa del Sacro Cuore di Maria e parla con la mamma, una madonna bianca di marmo che c'è lì sull'altare maggiore; però è strano, singolare il fatto che una tragedia così grande gli abbia fatto ritrovare sua madre: l'ha fulminato con un lampo di lucidità e consapevolezza, come una salvatrice l'ha protetto, risanato almeno in parte, credo.
    Io sapevo che una volta facevano degli elettrochoc per rimediare a certi disturbi gravi mentali, allora era una terapia comune, poi li hanno proibiti, perché alcuni medici incoscienti, se non malvagi, ne abusavano e bruciavano la testa ai pazienti; però, però qualcuno, stava poi meglio, pochi s'intende come Renato, che, per uno choc mentale americano e mondiale, s'è tirato su, cioè ha trovato tutta una forza nuova e, attraverso il dolore del mondo, ha fatto contatto con il suo istinto di conservazione. E' strano il mondo! Io lo so da qualche anno che dalla merda può nascere un fiore.
   Comunque questo il signor Renato Capussotti, vero maestro sarto (mi ha fatto anche un raffinato vestito blu) quasi tutte le settimane viene qui e da una mano a Susanna a fare il giornalino, e prepara disegni come sempre originali, ha anche deciso di ampliare la sua rubrica di arte e moda, e sulla moda e sulla sua storia scrive articoli deliziosi, in particolare dedicati a Roberto Capucci.

 

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